Intervista a Cristina Cati, founder di Modoro

Passeggiando tra gli stand di Abilmente, mi imbatto in quello di Cristina, curato nei minimi dettagli. Sono attratta fin da subito dai suoi disegni veritieri, e allo stesso tempo contemporanei. La sensazione che mi trasmette è di equilibrio.

Cristina Cati è la founder di Modoro e realizza illustrazioni, complementi d’arredo per la cucina e accessori per gli “amanti del buon cibo”. Ed è proprio lei la prima ad essere appassionata di cucina. Ricorderò sempre la frase: «A Bologna o cucini, o mangi, o parli di mangiare».

Sui tessuti trasferisce sapori, profumi e odori. Oltre alle collezioni tessili ci sono anche stampe in A4 e altri accessori di cartoleria. Disponibile e simpaticissima, ci sentiamo per una chiacchierata in cui mi racconta il suo percorso artistico e professionale fino alla nascita del progetto Modoro.

Modoro è un’idea davvero originale, come ti è venuta in mente?

Beh, innanzitutto è nata prima l’idea del nome: il nome è arrivato solo lo scorso anno.
Per 23 anni mi sono occupata di illustrazione medica, un lavoro che mi è piaciuto moltissimo. È cominciato alla grande fino ad arrivare gradualmente, circa una decina di anni fa, a un momento di stallo in cui le commesse erano sempre più scarse così come la soddisfazione in quello che facevo. Ho continuato per un periodo in questa situazione e poi ho deciso di cambiare direzione.

Ero mossa dall’unica certezza che il disegno dovesse continuare ad essere la mia ragione di vita, come lo è stato per tutto questo tempo. E poi, dovevo trovare un’attività che mi consentisse di continuare a vivere dove sono ora, e che fosse al contempo un’idea originale e riconoscibile.

Perché proprio il cibo?

Il fatto di essere di Bologna e di avere la cucina nel mio DNA (qui da noi o cucini, o mangi, o parli di mangiare) ha inciso senz’altro. Quando mi sono trasferita in questo nuovo paesino, l’attaccamento alla tradizione è stato ancora più evidente. Confrontarmi con molti esperti della ristorazione poi, mi ha permesso ulteriormente di entrare in questo mondo culinario. È stato tutto abbastanza spontaneo, l’unire il cibo al disegno.

Quali scelte hai dovuto adottare per essere riconoscibile?

Sono andata a ripescare la tecnica al tratto che ho praticato nei primissimi anni della mia formazione artistica. Era una tecnica che non avevo più usato per anatomia e che però sentivo molto mia e fluida, in quanto simile alla scrittura.

Che sensazione hai avuto nel momento in cui hai capito che questo progetto poteva farti ricominciare?

Ho avuto la sensazione che tutto andasse al suo posto: tutte le esperienze fatte, le persone incontrate, le capacità acquisite trovavano un senso. Ho iniziato quindi a riflettere su cosa sapevo fare meglio e mi sono buttata a capofitto. Ho iniziato a parlare con chi mi stava vicino con l’urgenza di produrre subito qualcosa, per mostrare loro ciò che avevo in mente ed ottenerne l’approvazione e il supporto.

E poi? Quali sono stati gli step successivi?

Ho iniziato a studiare branding, marketing… all’inizio sfruttando la moltitudine di risorse gratuite disponibili online. Poi, ho capito l’importanza di affidarsi a professionisti. Ho individuato delle persone che tutt’ora sono di grande riferimento per me, iniziando così un cammino più concreto, reale e profondo.

Quali “inciampi” ci sono stati in questo percorso e che cosa ti hanno insegnato?

Uno dei primi errori è stato nella scelta del nome. Non mi ero resa conto che il mio prodotto era come una bandiera: un modo per dimostrare agli altri con orgoglio l’appartenenza a una comunità, a un Paese (pensiamo al tortellino). Questo concetto fondamentale l’ho capito solo con il tempo.

Inizialmente mi chiamavo “DTailslab”, ma mi sono accorta che non aveva senso avere un nome anglofono. Doveva essere invece un nome facilmente pronunciabile all’estero, ma italiano e che mi rappresentasse. Mi sono affidata a una grande professionista di naming, Chiara Gandolfi di BalenaLab. Chiara mi ha costretta a ragionare su molteplici aspetti, facendomi fare una full immersion nel progetto. Un lavoro faticoso, ma sorprendente di analisi e riflessione.

Qual è quindi il significato di Modoro?

Modoro riassume in una parola il concetto di fare le cose “fatte bene”. Un’espressione tipica delle nonne che raccomandavano di fare le cose a modo, “a modino”. Un’espressione che negli anni ho perso, ma che mi è sempre piaciuta molto. Chiara ha associato questo concetto a quello dell’oro inteso come preziosità non tanto nell’oggetto in sé, quanto nel processo creativo. L’oro è stato ripreso poi attraverso il colore che compare nel logo. Ogni lettera ha un significato e il nome in sé mi ha dato, grazie alla composizione di sillabe “Mo-do-ro”, un senso di stabilità. È stato amore a prima vista.

“Modoro è la Cristina che sono io adesso. Per tutto quello che mi è successo nella vita. Ogni cosa che è capitata ha un senso, non ho lasciato indietro niente”

Che valore ha per te la cucina e come sei riuscita a coniugarla con il design?

Cucino in continuazione. Lavorare a casa mi permette di farlo in tranquillità. La cucina è il posto che prediligo: mi piace cucinare, sperimentare, invitare persone. Tante volte per disegnare un piatto, parto proprio dai fornelli: cucinandolo, fotografandolo e poi disegnandolo. Ovviamente se è possibile.

Per lo spaghetto allo scoglio ad esempio, mi sentivo in difetto perché non so cucinarlo bene. Ho un amico pugliese che lo cucina benissimo e ho quindi mandato lui a prendermi gli ingredienti giusti! Questa mia impostazione deriva in effetti proprio dalla mia esperienza in campo scientifico.

Quali sono i valori su cui si fonda il tuo brand?

La coerenza è al primo posto. La bellezza è un altro valore chiave, perché sono convinta che se siamo circondati da oggetti e posti belli non possiamo che migliorare. E poi la praticità e la funzionalità: non sono per il design fine a se stesso, l’oggetto che mi accompagna nel quotidiano deve essere pratico e devo usarlo. Devono essere poi cose che durano nel tempo e fatte… a modo!

Come nasce una tua collezione?

Finora ho scelto di rappresentare determinate ricette perché fanno parte del mio vissuto. Cerco di trovare dei soggetti che siano i più trasversali possibili. Vado alla ricerca di ciò che rappresenta un tesoro per più persone perché diventa più semplice rappresentarlo. È importante trovare un equilibrio tra queste produzioni e quelle che invece rispecchiano una nicchia più ristretta di mercato. Avendo scelto il tratto in bianco e nero, faccio la scelta grafica della tinta piatta del tessuto che rimanda a quella pietanza.

Quale collezione è andata per la maggiore?

Il tortellino non mi abbandona, anche se avrei molte altre cose da dire 🙂 Anche il pomodoro è piaciuto tanto.

Che ruolo ha la comunicazione per la tua attività e qual è il peso dei diversi canali su cui sei presente (sito web, social media e altre piattaforme)?

Sono partita da Etsy e, da poco, è attivo il sito di proprietà modoro.it. Comunico anche su Instagram e tra gli obiettivi futuri c’è anche quello di sviluppare meglio la newsletter. Finora ho utilizzato quest’ultima per comunicare la partecipazione ad eventi o gli sconti, ma vorrei che diventasse invece un contenitore più di valore. I market e le fiere sono un altro momento importante di scambio e conoscenza senz’altro arricchente, sia nei confronti dei clienti che dei colleghi interessanti con storie belle da raccontare.

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